VENERDÌ SANTO A CANTIANO TRA PREGHIERA E DEVOZIONE POPOLARE LA VISITA ALLE SETTE CHIESE
E’ ancora notte quando un gruppo di ragazzi insonnoliti percorre le vie del paese con l’intento, sempre riuscito, di dare la sveglia a quanti sono intenzionati a partecipare alla Visita alle Sette Chiese (detta anche Giro delle sette Chiese) e indirettamente un po’ a tutti. Allo scopo viene utilizzato uno strumento conosciuto in gergo col nome di battistrangola. Una tavola di duro legno sulla quale è inserita, da ciascun lato, una maniglia in ferro che, libera di ruotare, colpisce piastre di ferro producendo un gran fracasso. Così inizia a Cantiano la lunga giornata del Venerdì santo.
Una sveglia insolita questa, che segue un sonno nervoso e preoccupato. Ce n’è per tutti: dal parroco a cui attende una giornata faticosa tra funzioni e processioni, all’Amm.ne pubblica perché vuoi o non vuoi Cantiano si riempirà come al solito di tanta gente per assistere alla “Turba”, dalla casalinga intenta a preparare le prelibatezze del periodo (cresce, ciambelle, pasta e ceci, ecc.) a tutti i turbanti che di preoccupazioni e pensieri ne hanno da vendere.
La preghiera collettiva di tipo processionale conosciuta come Visita alle Sette Chiese, trovò in S. Filippo Neri (1515-1595), il suo più grande diffusore. Il Santo riprese probabilmente un’antica tradizione che interessava le principali basiliche romane, per rilanciarla e riproporla in veste nuova un po’ ovunque. L’idea nacque soprattutto come contrasto alla fastosità e dissolutezza con cui veniva consumato, tanto nelle grandi quanto nelle piccole città, il carnevale. Si era nell’anno 1552. In questo periodo la stessa chiesa celebrava il concilio di Trento (conclusosi nel 1563), intesa a recuperare quel rigore che sembrava smarrito nelle stesse persone che invece dovevano esaltarlo.
Il “sette” non indicava soltanto il numero dei luoghi più santi di Roma da visitare per rinvigorire la fede, ma faceva piuttosto esplicito riferimento ad alcuni temi della passione sulla quale meditare (sette viaggi di Cristo nella Passione, le sette parole di Gesù in croce, i sette dolori della Madonna, ecc.).
Cantiano, rispecchiava nel suo piccolo quello che era il clima generale; anche da noi il carnevale era vissuto con tutti gli eccessi del tempo e le stesse manifestazioni di fede, comprese le sacre rappresentazioni che si svolgevano nei giorni pasquali, erano così cambiate tanto da indurre il vescovo di Gubbio, Savelli, alla loro sospensione (1562).
Tuttavia esisteva in paese anche un autentico sentimento religioso e questo non tardò a manifestarsi. La processione del Venerdì santo riprese con la sua imponente compostezza, ed ebbe inizio la funzione della Visita alle Sette Chiese. Il perché questa nascente forma di devozione popolare attecchì subito in paese è da ricercare nella figura del cantianese Agostino Manni (1547-1618) il quale, intrapresa in quegli anni a Roma la carriera ecclesiastica, si accostò all’Oratorio di S. Filippo Neri, divenendone nel tempo tra i più autorevoli esponenti. Del Manni e delle sue opere possediamo una interessante pubblicazione di Guglielmi G.; per noi in questa sede è sufficiente ricordarlo come diffusore in Cantiano del culto verso S. Filippo Neri e del suo stile. Fu sempre il Manni che permise al capitolo della Collegiata di possedere come preziosa reliquia il corpetto del Santo ed il cappello cardinalizio di S. Carlo Borromeo; gli stessi Santi sono dipinti in altrettante pale d’altare della chiesa.
Non sappiamo quando la Visita alle Sette Chiese si spostò dagli ultimi giorni di carnevale alla fine della quaresima finendo per unirsi con un’altra tradizione popolare, la cosiddetta visita dei sepolcri (storicamente accertata in paese fin dalla metà del 1400); né quali fossero inizialmente le chiese oggetto del percorso di pellegrinaggio. Sicuramente le quattro principali lo erano per ovvi motivi (Collegiata di S. Giovanni Battista, S. Agostino, S. Nicolò, S. Ubaldo), le altre tre, S. Francesco Borgia (ora cappella del cimitero), la Madonna della Mercede (ora cappella dell’Ospedale) e la Cappella di Colsecco non sappiamo, vista la presenza in paese e nelle immediate vicinanze di numerose altre chiese oggi non più esistenti. Certo è che la memoria storica dei primi anni del secolo scorso già indica queste ultime come facenti parte del percorso devozionale che si snodava all’alba del Venerdì santo.
Ancor’oggi il tragitto è rimasto immutato così come a noi pervenuto, trovando negli ultimi decenni nuovo e rinvigorito interesse. Una tradizione viva ed autentica, in grado di coinvolgere, in uno dei momenti più sentiti del Venerdì santo, ancora molta gente giovani in particolare, facendo sicuramente gioire in questo senso il suo santo Istitutore.